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Sentenza

Le imprese possono vietare ai propri dipendenti di indossare sul luogo di lavoro, dove abbiano contatti col pubblico, segni visibili di natura politica o religiosa (come l'hijab, cioè il velo islamico o il crocifisso cristiano), purchè si tratti di una norma applicata in modo generale.
Le imprese possono vietare ai propri dipendenti di indossare sul luogo di lavoro, dove abbiano contatti col pubblico, segni visibili di natura politica o religiosa (come l'hijab, cioè il velo islamico o il crocifisso cristiano), purchè si tratti di una norma applicata in modo generale.
Corte di giustizia UE, sentenza 15 luglio 2021, cause riunite C-804/18 IX / WABE e.V. e C-341/19 
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 
15 luglio 2021  
«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 2000/78/CE – Parità di trattamento in materia di 
occupazione e di condizioni di lavoro – Divieto di discriminazioni fondate sulla religione o sulle convinzioni 
personali – Norma interna di un'impresa che vieta di indossare, sul luogo di lavoro, qualsiasi segno visibile 
di natura politica, filosofica o religiosa o di indossare segni politici, filosofici o religiosi vistosi e di grandi 
dimensioni – Discriminazione diretta o indiretta – Proporzionalità – Bilanciamento della libertà di religione 
e di altri diritti fondamentali – Validità della politica di neutralità adottata dal datore di lavoro – Necessità di 
dimostrare l'esistenza di un danno economico subito dal datore di lavoro» 
Nelle cause riunite C-804/18 e C-341/19, 
aventi ad oggetto due domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell'articolo 
267 TFUE, rispettivamente, dall'Arbeitsgericht Hamburg (Tribunale del lavoro di Amburgo, Germania) 
(C-804/18), e dal Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro, Germania) (C-341/19), con decisioni del 
21 novembre 2018 e del 30 gennaio 2019, pervenute in cancelleria, rispettivamente, il 20 dicembre 2018 e 
il 30 aprile 2019, nei procedimenti 
IX 
contro 
WABE eV (C-804/18), 
e 
MH Müller Handels GmbH 
contro 
MJ (C-341/19), 
LA CORTE (Grande Sezione), 
composta da K. Lenaerts, presidente, R. Silva de Lapuerta, vicepresidente, A. Prechal, M. Vilaras, E. Regan, 
L. Bay Larsen, N. Piçarra e A. Kumin, presidenti di sezione, T. von Danwitz, C. Toader, M. Safjan, F. Biltgen 
(relatore), P.G. Xuereb, L.S. Rossi e I. Jarukaitis, giudici, 
avvocato generale: A. Rantos 
cancelliere: D. Dittert, capo unità 
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all'udienza del 24 novembre 2020, 
considerate le osservazioni presentate: 
–        per IX, da K. Bertelsmann, Rechtsanwalt; 
–        per la WABE eV, da C. Hoppe, Rechtsanwalt; 
–        per la MH Müller Handels GmbH, da F. Werner, Rechtsanwalt; 
–        per MJ, da G. Sendelbeck, Rechtsanwalt; 
–        per il governo greco, da E.M. Mamouna e K. Boskovits, in qualità di agenti; 
–        per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente; 
–        per il governo svedese, da H. Eklinder, C. Meyer-Seitz, H. Shev, J. Lundberg e A. Falk, in qualità di 
agenti; 
–        per la Commissione europea, da B.-R. Killmann, M. Van Hoof e C. Valero, in qualità di agenti, 
sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 25 febbraio 2021, 
ha pronunciato la seguente 
Sentenza 
1        Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull'interpretazione dell'articolo 2, paragrafo 1 e 
paragrafo 2, lettere a) e b), dell'articolo 4, paragrafo 1, e dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 
2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di 
trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU 2000, L 303, pag. 16), nonché degli 
articoli 10 e 16 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). 
2        La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta nella causa C-804/18 è stata presentata nell'ambito 
di una controversia tra IX e il suo datore di lavoro, la WABE eV (in prosieguo: la «WABE»), un'associazione 
registrata in Germania che gestisce numerosi asili nido, in merito alla sospensione di IX dalle sue funzioni a 
seguito del suo rifiuto di rispettare il divieto imposto dalla WABE ai suoi dipendenti di indossare sul luogo di 
lavoro qualsiasi segno visibile di natura politica, filosofica o religiosa quando sono a contatto con i genitori o 
i loro figli. 
3        La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta nella causa C-341/19 è stata presentata nell'ambito 
di una controversia tra la MH Müller Handels GmbH (in prosieguo: la «MH»), società che gestisce una 
catena di drogherie nel territorio tedesco, e MJ, una sua dipendente, in merito alla legalità dell'ingiunzione 
rivolta dalla MH a quest'ultima di astenersi dall'indossare, sul luogo di lavoro, segni vistosi e di grandi 
dimensioni di natura politica, filosofica o religiosa. 
 Contesto normativo 
 Direttiva 2000/78 
4        I considerando 1, 4, 11 e 12 della direttiva 2000/78 così recitano: 
«(1)      Conformemente all'articolo 6 [TUE], l'Unione europea si fonda sui principi di libertà, democrazia, 
rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto, principi che sono comuni a tutti 
gli Stati membri e rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla [c]onvenzione europea per la 
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950] e quali 
risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto 
[dell'Unione]. 
(...) 
(4)      Il diritto di tutti all'uguaglianza dinanzi alla legge e alla protezione contro le discriminazioni costituisce 
un diritto universale riconosciuto dalla [d]ichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dalla convenzione 
delle Nazioni Unite sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, dai patti 
delle Nazioni Unite relativi rispettivamente ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali e 
dalla [c]onvenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali di cui tutti 
gli Stati membri sono firmatari. La [c]onvenzione n. 111 dell'Organizzazione internazionale del lavoro 
proibisce la discriminazione in materia di occupazione e condizioni di lavoro. 
(...) 
(11)      La discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali può 
pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato [FUE], in particolare il raggiungimento di un 
elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, 
la coesione economica e sociale, la solidarietà e la libera circolazione delle persone. 
(12)      Qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su religione o convinzioni personali, handicap, 
età o tendenze sessuali nei settori di cui alla presente direttiva dovrebbe essere pertanto proibita in tutta 
[l'Unione europea]. (...)». 
5        L'articolo 1 di tale direttiva così dispone: 
«La presente direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla 
religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, per quanto concerne 
l'occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità 
di trattamento». 
6        L'articolo 2 di detta direttiva prevede quanto segue: 
«1.      Ai fini della presente direttiva, per "principio della parità di trattamento" si intende l'assenza di 
qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all'articolo 1. 
2.      Ai fini del paragrafo 1: 
a)      sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1, una 
persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una 
situazione analoga; 
b)      sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente 
neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio le persone che professano una 
determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di un particolare handicap, le 
persone di una particolare età o di una particolare tendenza sessuale, rispetto ad altre persone, a meno 
che: 
i)      tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i 
mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari; (...) 
(...) 
5.      La presente direttiva lascia impregiudicate le misure previste dalla legislazione nazionale che, in una 
società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell'ordine pubblico, alla 
prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui». 
7        L'articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva così dispone: 
«Nei limiti dei poteri conferiti all['Unione], la presente direttiva si applica a tutte le persone, sia del settore 
pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene: 
(...) 
c)      all'occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione; 
(...)». 
8        Ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/78: 
«Gli Stati membri possono introdurre o mantenere, per quanto riguarda il principio della parità di 
trattamento, disposizioni più favorevoli di quelle previste nella presente direttiva». 
 Diritto tedesco 
 Il GG 
9        L'articolo 4, paragrafi 1 e 2, del Grundgesetz für die Bundesrepublik Deutschland (legge fondamentale 
della Repubblica federale di Germania), del 23 maggio 1949 (BGBl. 1949 I, pag. 1; in prosieguo: il «GG») così 
dispone: 
«(1)      La libertà di fede e di coscienza e la libertà di confessione religiosa e ideologica sono inviolabili. 
(2)      È garantito il libero esercizio del culto». 
10      L'articolo 6, paragrafo 2, del GG prevede quanto segue: 
«La cura e l'educazione dei figli sono un diritto naturale dei genitori e il primo dovere che su di loro 
incombe. La comunità statale vigila sulla loro attuazione». 
11      L'articolo 7, paragrafi da 1 a 3, del GG è del seguente tenore letterale: 
«1.      L'intero sistema scolastico è soggetto al controllo statale. 
2.      I titolari della responsabilità genitoriale hanno diritto di decidere sulla partecipazione del figlio alle 
lezioni di religione. 
3.      Nelle scuole pubbliche, ad eccezione delle scuole laiche, la religione è materia ordinaria di 
insegnamento. Salvo il diritto di controllo dello Stato, le lezioni di religione sono impartite in conformità ai 
principi delle comunità religiose. Nessun insegnante può essere costretto a impartire le lezioni di religione 
contro la sua volontà». 
12      L'articolo 12 del GG prevede quanto segue: 
«(1)      Tutti i tedeschi hanno il diritto di scegliere liberamente la professione, il luogo e le sedi di lavoro e la 
formazione. L'esercizio della professione può essere regolato per legge o in base a una legge. 
(...)». 
 L'AGG 
13      L'Allgemeines Gleichbehandlungsgesetz (legge generale sulla parità di trattamento), del 14 agosto 
2006 (BGBl. 2006 I, pag. 1897; in prosieguo: l'«AGG»), mira a trasporre nel diritto tedesco la direttiva 
2000/78. 
14      L'articolo 1 dell'AGG, che stabilisce l'obiettivo della legge, così recita: 
«L'obiettivo della presente legge è la prevenzione o l'eliminazione di qualsiasi discriminazione fondata sulla 
razza o l'origine etnica, il sesso, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze 
sessuali». 
15      L'articolo 2, paragrafo 1, dell'AGG così dispone: 
«In virtù della presente legge, le discriminazioni fondate su uno dei motivi indicati all'articolo 1 sono illecite 
per quanto attiene: 
1.      alle condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo, compresi i criteri 
di selezione e le condizioni di assunzione, indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della 
gerarchia professionale, nonché alle condizioni riguardanti la promozione; 
2.      alle condizioni di occupazione e di lavoro, comprese la retribuzione e le condizioni di licenziamento, in 
particolare quelle riportate negli accordi e provvedimenti individuali e collettivi, e alle misure adottate al 
momento dell'esecuzione e della cessazione di un rapporto di lavoro nonché in caso di promozione; 
(...)». 
16      L'articolo 3, paragrafi 1 e 2, dell'AGG, prevede quanto segue: 
«1.      Sussiste discriminazione diretta quando, sulla base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1, una 
persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in una 
situazione analoga. Con riferimento alle ipotesi di cui all'articolo 2, paragrafo 1, numeri da 1 a 4, sussiste 
discriminazione diretta fondata sul sesso anche quando una donna è trattata meno favorevolmente a causa 
della gravidanza o della maternità. 
2.      Sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente 
neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio alcune persone rispetto ad altre, sulla 
base di uno dei motivi indicati all'articolo 1, a meno che tale disposizione, tale criterio o tale prassi siano 
oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano 
appropriati e necessari». 
17      L'articolo 7, paragrafi da 1 a 3, dell'AGG così dispone: 
«1.      I lavoratori non devono essere soggetti a discriminazione per alcuno dei motivi elencati all'articolo 1; 
ciò vale anche quando l'autore della discriminazione si limiti a supporre la presenza di uno dei motivi di cui 
all'articolo 1 nell'ambito del fatto discriminatorio. 
2.      Le disposizioni degli accordi che violano il divieto di discriminazione ai sensi del paragrafo 1 sono 
inefficaci. 
3.      Una discriminazione ai sensi del paragrafo 1 da parte del datore di lavoro o del lavoratore costituisce 
violazione dei doveri contrattuali». 
18      Ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, dell'AGG: 
«Una differenza di trattamento per uno dei motivi di cui all'articolo 1 è consentita quando tale motivo, a 
causa della natura dell'attività lavorativa da esercitare o delle condizioni in cui essa viene esercitata, 
costituisce un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, purché la 
finalità sia legittima e il requisito proporzionato». 
19      L'articolo 15 dell'AGG così dispone: 
«1.      In caso di violazione del divieto di discriminazione, il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno che 
ne risulta. Tale norma non si applica qualora il datore di lavoro non sia responsabile della violazione di 
detto obbligo. 
2.      Per quanto riguarda il danno non patrimoniale, il lavoratore ha diritto a un adeguato risarcimento 
pecuniario. In caso di mancata assunzione il risarcimento non può eccedere tre stipendi mensili, qualora il 
lavoratore o la lavoratrice non sarebbe stato assunto o assunta nemmeno in caso di selezione non 
discriminatoria. 
3.      In caso di applicazione dei contratti collettivi, il datore di lavoro è tenuto a risarcire il danno solo in 
presenza di dolo o colpa grave». 
 Il codice civile 
20      Ai sensi dell'articolo 134 del Bürgerliches Gesetzbuch (codice civile), «[q]ualsiasi negozio giuridico 
contrario a un divieto di legge è nullo salvo che la legge disponga altrimenti». 
 Il GewO 
21      L'articolo 106 del Gewerbeordnung (codice relativo all'esercizio delle professioni industriali, 
commerciali e artigianali; in prosieguo: il «GewO»), così dispone: 
«Il datore di lavoro può precisare il contenuto, il luogo e l'orario della prestazione lavorativa, a sua 
ragionevole discrezione, nei limiti in cui tali condizioni di lavoro non siano definite dal contratto di lavoro, 
dalle disposizioni di un accordo aziendale o di un contratto collettivo oppure dalla legge. Ciò vale anche per 
quanto riguarda il rispetto dell'ordine interno dell'impresa da parte del lavoratore nonché il 
comportamento di quest'ultimo nell'impresa. Nell'esercizio di tale discrezione il datore di lavoro deve 
tenere in considerazione anche eventuali handicap del lavoratore». 
 Procedimenti principali e questioni pregiudiziali 
 Causa C-804/18 
22      La WABE gestisce un notevole numero di asili nido situati in Germania, presso i quali lavorano oltre 
600 dipendenti e sono seguiti circa 3 500 bambini. Essa è apartitica e aconfessionale. 
23      Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale in tale causa risulta che, nel suo lavoro quotidiano, la WABE 
segue e condivide senza riserve le raccomandazioni della città di Amburgo (Germania) per l'istruzione e 
l'educazione dei bambini applicabili nelle strutture giornaliere, pubblicate a marzo 2012 
dall'amministrazione del lavoro, degli affari sociali, della famiglia e dell'integrazione della città di Amburgo. 
Tali raccomandazioni prevedono, in particolare, che «[t]utti i centri giornalieri per l'infanzia hanno il 
compito di affrontare e spiegare le questioni etiche fondamentali nonché le convinzioni religiose e di altro 
tipo, quali elementi della vita. Gli asili danno, dunque, la possibilità ai bambini di confrontarsi con le 
questioni esistenziali relative alla gioia e al dolore, alla salute e alla malattia, alla giustizia e all'ingiustizia, 
alla colpa e all'insuccesso, alla pace e al conflitto, così come con la questione di Dio. Essi aiutano i bambini a 
esternare sensibilità e convinzioni su tali questioni. La possibilità di affrontare dette questioni con curiosità 
e spirito di ricerca conduce a confrontarsi con i contenuti e le tradizioni degli orientamenti religiosi e 
culturali presenti nel gruppo dei bambini. In questo modo si sviluppano considerazione e rispetto per le 
altre religioni, culture e convinzioni personali. Tale confronto rafforza l'auto-consapevolezza del bambino e 
la sua esperienza di una società funzionale. È parte di ciò anche far conoscere ai bambini, nel corso 
dell'anno, le feste di origine religiosa e far sì che essi le organizzino in modo attivo. Nell'incontro con altre 
religioni i bambini imparano a conoscere diverse forme di raccoglimento, di fede e di spiritualità». 
24      IX è un'educatrice specializzata e lavora per la WABE dal 2014. All'inizio del 2016 ha deciso di 
indossare un velo islamico. Dal 15 ottobre 2016 al 30 maggio 2018 ha usufruito di un congedo parentale. 
25      Nel marzo 2018 la WABE ha adottato l'«Istruzione di servizio per il rispetto del principio di neutralità» 
al fine di applicarla nelle sue strutture, della quale IX è venuta a conoscenza il 31 maggio dello stesso anno. 
Tale istruzione dispone, in particolare, che la WABE «è aconfessionale e accoglie espressamente con favore 
la pluralità religiosa e culturale. Al fine di garantire lo sviluppo individuale e libero dei bambini per quanto 
riguarda la religione, le convinzioni personali e la politica, i collaboratori (...) sono esortati a rispettare 
rigorosamente l'obbligo di neutralità vigente nei confronti di genitori, bambini e altri terzi. Rispetto a essi 
WABE persegue una politica di neutralità politica, ideologica e religiosa. Ad eccezione del personale 
pedagogico, gli obblighi imposti ai fini del rispetto del principio di neutralità non sono applicabili agli addetti 
della WABE che lavorano nella sede centrale, poiché essi non hanno contatti né con i bambini né con i 
genitori. In tale contesto le regole che seguono devono intendersi come «principi per il concreto rispetto 
dell'obbligo di neutralità sul luogo di lavoro: 
–        sul luogo di lavoro i collaboratori non possono fare nessuna esternazione di tipo politico, ideologico o 
religioso nei confronti di genitori, bambini o terzi. 
–        Sul luogo di lavoro, alla presenza di genitori, bambini o terzi, i collaboratori non possono indossare 
nessun segno visibile relativo alle loro convinzioni politiche, personali o religiose. 
–        Sul luogo di lavoro i collaboratori non possono compiere nessun rito derivante da dette convinzioni 
alla presenza di genitori, bambini o terzi». 
26      Nella «Scheda informativa sull'obbligo di neutralità» redatta dalla WABE si legge quanto segue in 
risposta alla questione se possano essere indossati il crocifisso cristiano, il velo musulmano o la kippah 
ebraica: 
«No, non è permesso perché i bambini non devono essere influenzati dagli educatori per quanto riguarda la 
religione. La scelta volontaria di un abbigliamento determinato dalla religione o dalle convinzioni personali 
è contraria all'obbligo di neutralità». 
27      Il 1° giugno 2018 IX si è presentata sul suo luogo di lavoro indossando un velo islamico. Essendosi 
rifiutata di toglierlo, è stata provvisoriamente sospesa dalla direttrice della struttura. 
28      Il 4 giugno 2018 IX si è presentata di nuovo al lavoro indossando un velo islamico. Le è stato 
consegnato un'ammonizione scritta nella medesima data, con cui le veniva contestato il fatto di avere 
indossato il velo il 1° giugno 2018, ed è stata esortata, alla luce del principio di neutralità, a svolgere in 
futuro il proprio lavoro senza velo. Essendosi nuovamente rifiutata di togliere detto velo, IX è stata 
mandata a casa e provvisoriamente sospesa. Il medesimo giorno ella ha ricevuto una nuova ammonizione. 
29      Nel medesimo periodo, la WABE è riuscita a far togliere a una dipendente un ciondolo a forma di 
croce che ella indossava. 
30      IX ha adito il giudice del rinvio con un ricorso volto a ottenere che la WABE fosse condannata a 
eliminare dal suo fascicolo personale le ammonizioni relative all'uso del velo islamico. A sostegno del suo 
ricorso, essa fa valere, anzitutto, che, nonostante il carattere generale del divieto di indossare in modo 
visibile segni di natura politica, filosofica o religiosa, tale divieto riguarda direttamente l'uso del velo 
islamico e costituisce quindi una discriminazione diretta, poi, che tale divieto concerne esclusivamente le 
donne e deve quindi essere esaminato anche alla luce del divieto di discriminazioni fondate sul sesso e, 
infine, che tale divieto riguarda soprattutto le donne che provengono da un contesto di immigrazione, 
sicché esso è tale da costituire anche una discriminazione basata sull'origine etnica. Peraltro, il 
Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale, Germania) avrebbe dichiarato che il divieto di 
indossare il velo islamico sul lavoro, in una struttura giornaliera per bambini, costituiva un grave pregiudizio 
alla libertà di fede e di religione e dovrebbe basarsi, per essere ammissibile, su un rischio certo e concreto. 
Infine, la sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions (C-157/15, EU:C:2017:203), non consentirebbe 
di opporsi alla domanda di eliminare dette ammonizioni. Infatti, in tale sentenza, la Corte avrebbe soltanto 
fissato standard minimi nel diritto dell'Unione, sicché il livello di tutela contro la discriminazione raggiunto 
in Germania, grazie alla giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale) 
relativa all'articolo 4, paragrafo 1, del GG e all'articolo 8 dell'AGG, non può essere rivisto al ribasso. 
31      La WABE chiede al giudice del rinvio di rigettare tale ricorso. A sostegno di detta domanda, essa fa 
valere, tra l'altro, che la norma interna che vieta di indossare in modo visibile segni politici, filosofici o 
religiosi è conforme all'articolo 106, prima frase, del GewO, letto in combinato disposto con l'articolo 7, 
paragrafi da 1 a 3, dell'AGG, e che tali disposizioni nazionali dovrebbero essere interpretate 
conformemente al diritto dell'Unione. Orbene, dalla sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions 
(C-157/15, EU:C:2017:203), risulterebbe che un datore di lavoro privato è autorizzato ad attuare una 
politica di neutralità all'interno dell'impresa, a condizione di perseguirla in modo coerente e sistematico e 
di limitarla ai dipendenti che sono a contatto con i clienti. Non sussisterebbe una discriminazione indiretta 
se la disposizione di cui trattasi è oggettivamente giustificata da una finalità legittima, quale la volontà del 
datore di lavoro di perseguire una politica di neutralità nell'ambito dei contatti con i clienti, e se i mezzi per 
il conseguimento di tale finalità sono appropriati e necessari. Orbene, tale sarebbe l'ipotesi che 
ricorrerebbe nel caso di specie. Peraltro, IX non può essere assegnata ad un posto che non implichi contatti 
con i bambini e i loro genitori, in quanto un posto di tal genere non corrisponderebbe alle sue capacità e 
alle sue qualifiche. Con la sua sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions (C-157/15, 
EU:C:2017:203), la Corte avrebbe definitivamente risolto la questione del bilanciamento dei diritti 
fondamentali alla luce della Carta nel caso di un obbligo di neutralità imposto dal datore di lavoro. Dato che 
l'articolo 3, paragrafo 2, dell'AGG sarebbe diretto a trasporre il diritto dell'Unione, i giudici tedeschi non 
possono procedere a un diverso bilanciamento della libertà di religione, come quello accolto dal 
Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale), senza violare il primato del diritto dell'Unione e il 
principio dell'interpretazione conforme al diritto dell'Unione. Peraltro, anche supponendo che occorra 
dimostrare l'esistenza di un rischio concreto o di un danno economico concreto per limitare la libertà di 
religione, una tale prova sarebbe del pari fornita nel caso di specie, dal momento che dai post della 
ricorrente nel procedimento principale pubblicati sul suo profilo personale di un social network 
risulterebbe che ella, con il suo comportamento, intendeva influenzare i terzi in modo mirato e deliberato. 
32      Alla luce di tali argomenti, il giudice del rinvio ritiene che IX potrebbe essere stata oggetto di una 
discriminazione diretta basata sulla religione, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 
2000/78, a causa del collegamento tra il trattamento sfavorevole da essa subito, vale a dire l'emissione di 
un'ammonizione, e la caratteristica tutelata costituita dalla religione. 
33      Nell'ipotesi di assenza di discriminazione diretta, il giudice del rinvio chiede se una politica di 
neutralità adottata da un'impresa possa costituire una discriminazione indiretta basata sulla religione, o 
addirittura, tenuto conto del fatto che il divieto controverso nel procedimento principale concerne nella 
maggior parte dei casi le donne, una discriminazione indiretta basata sul sesso. In tale contesto, esso si 
interroga se una differenza di trattamento basata sulla religione e/o sul sesso possa essere giustificata da 
una politica di neutralità introdotta al fine di tener conto dei desideri dei clienti. Peraltro, nell'ipotesi di una 
differenza di trattamento indirettamente basata sulla religione, il giudice del rinvio intende stabilire se, ai 
fini dell'esame dell'adeguatezza di tale differenza di trattamento, possa prendere in considerazione i criteri 
previsti all'articolo 4, paragrafo 1, del GG in quanto disposizione più favorevole ai sensi dell'articolo 8, 
paragrafo 1, della direttiva 2000/78. 
34      In tali circostanze, l'Arbeitsgericht Hamburg (Tribunale del lavoro di Amburgo, Germania) ha deciso di 
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
«1)      Se un'istruzione unilaterale del datore di lavoro che vieti di indossare qualsivoglia segno visibile 
relativo alle convinzioni politiche, personali o religiose discrimini i lavoratori che seguono determinate 
regole di abbigliamento in ragione di obblighi religiosi di coprirsi, in modo diretto e a causa della loro 
religione, ai sensi dell'articolo 2, [paragrafo 1 e paragrafo] 2, lettera a), della direttiva [2000/78]. 
2)      Se un'istruzione unilaterale del datore di lavoro che vieti di indossare qualsivoglia segno visibile 
relativo alle convinzioni politiche, personali o religiose discrimini una lavoratrice che indossa il velo in 
ragione della sua fede musulmana, in modo indiretto e a causa della religione e/o del sesso, ai sensi 
dell'articolo 2, [paragrafo 1 e paragrafo] 2, lettera b), della direttiva 2000/78. 
In particolare: 
a)      Se, ai sensi della direttiva 2000/78, una discriminazione [indiretta] fondata sulla religione e/o sul sesso 
possa essere giustificata anche dalla volontà soggettiva del datore di lavoro di perseguire una politica di 
neutralità politica, ideologica e religiosa, qualora in tal modo il datore di lavoro intenda tener conto dei 
desideri dei suoi clienti e delle sue clienti. 
b)      Se la direttiva 2000/78 e/o il diritto fondamentale di libertà d'impresa ai sensi dell'articolo 16 della 
[Carta] ostino, alla luce dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, a una disciplina nazionale 
secondo la quale, a tutela del diritto fondamentale di libertà di religione, il divieto di indumenti religiosi 
possa essere giustificato non già in base all'idoneità astratta a mettere a rischio la neutralità del datore di 
lavoro, bensì solo in ragione di un pericolo sufficientemente concreto, e in particolare di una minaccia 
concreta di un danno economico per il datore di lavoro o un terzo interessato». 
 Causa C-341/19 
35      MJ lavora dal 2002 come consulente di vendita e cassiera presso una delle filiali della MH. Dal 2014 
ella indossa un velo islamico. Non essendosi conformata alla richiesta della MH di togliere tale foulard sul 
suo luogo di lavoro, essa è stata assegnata a un altro posto che le consentiva di portare il detto velo. Nel 
giugno 2016, la MH le ha nuovamente chiesto di togliere tale velo. A seguito del rifiuto di MJ di conformarsi 
a tale richiesta, ella è stata mandata a casa. Nel luglio 2016, la MH le ha ingiunto di presentarsi sul suo 
luogo di lavoro priva di segni vistosi e di grandi dimensioni che esprimessero qualsiasi convinzione di natura 
religiosa, politica o filosofica. 
36      MJ ha proposto dinanzi ai giudici nazionali un ricorso volto a far dichiarare l'invalidità di detta 
ingiunzione e ad ottenere un risarcimento del danno subito. A sostegno del suo ricorso, MJ ha invocato la 
propria libertà di religione, tutelata dal GG, sostenendo al contempo che la politica di neutralità auspicata 
dalla MH non gode di un primato incondizionato rispetto alla libertà di religione e deve essere sottoposta a 
un esame di proporzionalità. La MH ha fatto valere che, dal luglio 2016, una direttiva interna che vietava 
l'uso, sul luogo di lavoro, di segni vistosi e di grandi dimensioni di natura religiosa, politica o filosofica si 
applicava in tutte le sue filiali (in prosieguo: la «direttiva interna»). L'obiettivo di tale direttiva sarebbe stato 
quello di preservare la neutralità all'interno dell'impresa e di prevenire in tal modo conflitti tra i dipendenti. 
In passato si sarebbero già verificati in diverse occasioni conflitti di tal genere, riconducibili alle diverse 
religioni e culture presenti in seno all'impresa. 
37      A seguito dell'accoglimento del ricorso di MJ dinanzi a tali giudici, la MH ha proposto 
un'impugnazione in Revision (cassazione) dinanzi al Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro), 
facendo altresì valere che dalla sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions (C-157/15, 
EU:C:2017:203), risulta che non è necessario dimostrare il verificarsi di un pregiudizio economico concreto 
o una diminuzione della clientela affinché un divieto di manifestare le proprie convinzioni possa essere 
validamente applicato. La Corte avrebbe in tal modo attribuito un peso maggiore alla libertà d'impresa 
tutelata dall'articolo 16 della Carta rispetto alla libertà di religione. Un risultato diverso non può essere 
giustificato alla luce dei diritti fondamentali tutelati dal diritto nazionale. 
38      Il giudice del rinvio ritiene che, per poter dirimere la controversia di cui è investito, gli incomba di 
valutare la validità dell'ingiunzione rivolta a MJ dalla MH nonché della direttiva interna alla luce delle 
limitazioni apportate al diritto di un datore di lavoro di impartire istruzioni ai sensi dell'articolo 106, prima 
frase, del GewO. In tal senso, il giudice del rinvio afferma che, in primo luogo, dovrà esaminare se tale 
ingiunzione e la direttiva interna su cui essa si fonda costituiscano una disparità di trattamento ai sensi 
dell'articolo 3 dell'AGG e se tale disparità di trattamento costituisca una discriminazione vietata. 
Nell'ipotesi in cui detta ingiunzione rispetti il contesto normativo esistente, occorrerebbe, in secondo 
luogo, esaminarla ex aequo et bono, esame questo che, ad avviso del giudice del rinvio, richiede un 
bilanciamento degli interessi contrapposti tenendo conto, in particolare, del contesto costituzionale e 
legislativo, dei principi generali di proporzionalità e di adeguatezza nonché degli usi. L'insieme delle 
specifiche circostanze della controversia oggetto del procedimento principale dovrebbe essere preso in 
considerazione in tale valutazione.39      Nel caso di specie, il giudice del rinvio considera che la direttiva interna della MH, che ha natura di 
norma generale, costituisce una disparità di trattamento indirettamente fondata sulla religione ai sensi 
dell'articolo 3, paragrafo 2, dell'AGG e dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78. Infatti, 
MJ sarebbe discriminata in modo specifico rispetto agli altri dipendenti in base ad un motivo menzionato 
all'articolo 1 dell'AGG, dato che gli agnostici esprimerebbero più raramente in pubblico le loro convinzioni 
tramite indumenti, gioielli o altri segni rispetto alle persone che aderiscono a una determinata religione o 
convinzione personale. Tuttavia, al fine di accertare se tale disparità di trattamento costituisca una 
discriminazione indiretta illegale, ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 2, dell'AGG, occorrerebbe ancora 
rispondere alla questione se solo un divieto completo che includa qualsiasi forma visibile di espressione 
delle convinzioni politiche, filosofiche o religiose sia idoneo a conseguire l'obiettivo perseguito da una 
politica di neutralità attuata in seno all'impresa o se, come nel contesto della controversia oggetto del 
procedimento principale, sia sufficiente a tal fine un divieto limitato ai segni vistosi di grandi dimensioni, 
purché sia applicato in modo coerente e sistematico. Orbene, la giurisprudenza della Corte, più in 
particolare le sentenze del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions (C-157/15, EU:C:2017:203), nonché del 14 
marzo 2017, Bougnaoui e ADDH (C-188/15, EU:C:2017:204), non fornirebbe una risposta a tale questione. 
40      Nell'ipotesi in cui si dovesse giungere alla conclusione che quest'ultimo divieto sia sufficiente, 
sorgerebbe la questione se il divieto controverso nel procedimento principale, che sembra necessario, sia 
adeguato ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78. Il giudice del rinvio si 
interroga a tal riguardo se, nell'ambito dell'esame dell'adeguatezza di tale divieto, occorra ponderare i 
diritti sanciti all'articolo 16 della Carta, da un lato, e all'articolo 10 della Carta, dall'altro, o se tale 
bilanciamento debba essere effettuato solo al momento dell'applicazione della norma generale nel caso 
singolo di cui trattasi, ad esempio quando una istruzione è rivolta a un lavoratore o in occasione di un 
licenziamento. Nell'ipotesi in cui si dovesse giungere alla conclusione che i diritti contrastanti derivanti dalla 
Carta e dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (in 
prosieguo: la «CEDU») non possono essere presi in considerazione in senso stretto nell'ambito dell'esame 
dell'adeguatezza del divieto controverso nel procedimento principale, sorgerebbe allora la questione se un 
diritto, tutelato da una disposizione nazionale di rango costituzionale, segnatamente la libertà di religione e 
di confessione tutelata dall'articolo 4, paragrafi 1 e 2, del GG, possa essere considerato come una 
normativa più favorevole ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/78. 
41      Infine, occorrerebbe altresì esaminare se il diritto dell'Unione, nel caso di specie l'articolo 16 della 
Carta, escluda la possibilità di tener conto dei diritti fondamentali tutelati dal diritto nazionale nell'ambito 
dell'esame della validità di un'istruzione impartita da un datore di lavoro. Orbene, sorgerebbe in particolare 
la questione se un individuo, come un datore di lavoro, possa invocare l'articolo 16 della Carta nell'ambito 
di una controversia insorta soltanto tra privati. 
42      In tali circostanze, il Bundesarbeitsgericht (Corte federale del lavoro) ha deciso di sospendere il 
procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
«1)      Se un'accertata disparità di trattamento indiretta fondata sulla religione ai sensi dell'articolo 2, 
paragrafo 2, lettera b), della direttiva [2000/78], derivante da una norma interna di un'impresa privata, 
possa essere considerata ragionevolmente giustificata solo qualora tale norma vieti di indossare qualsiasi 
segno visibile e non solo segni vistosi e [di grandi dimensioni] di convinzioni religiose, politiche e di altro 
carattere ideologico. 
2)      In caso di soluzione negativa della prima questione: 
a)      Se l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva [2000/78] debba essere interpretato nel senso 
che i diritti di cui all'articolo 10 della [Carta] e all'articolo 9 della CEDU possano essere tenuti in 
considerazione per stabilire se un'accertata disparità di trattamento indiretta, fondata sulla religione, sia 
ragionevolmente giustificata sulla base di una norma interna di un'impresa privata che vieta di indossare 
segni vistosi e [di grandi dimensioni] di convinzioni religiose, politiche e di altro carattere ideologico. 
b)      Se l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva [2000/78] debba essere interpretato nel senso 
che le norme nazionali di rango costituzionale che tutelano la libertà di religione possano essere 
considerate disposizioni più favorevoli ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva [2000/78], per 
stabilire se un'accertata disparità di trattamento indiretta, fondata sulla religione, sia ragionevolmente 
giustificata sulla base di una norma interna di un'impresa privata che vieta di indossare segni vistosi e [di 
grandi dimensioni] di convinzioni religiose, politiche e di altro carattere ideologico. 
3)      In caso di soluzione negativa [della seconda questione, sub a), e della seconda questione, sub b)]: 
Se, quando si esamina un'istruzione basata su una norma interna di un'impresa privata che vieta di 
indossare segni vistosi e [di grandi dimensioni] di convinzioni religiose, politiche e di altro carattere 
ideologico, le disposizioni nazionali di rango costituzionale che tutelano la libertà di religione debbano 
essere disapplicate a causa del diritto primario dell'Unione, anche se quest'ultimo, ad esempio l'articolo 16 
della Carta, riconosce le leggi e le prassi nazionali». 
 Sulle questioni pregiudiziali 
 Sulla prima questione nella causa C-804/18 
43      Con la sua prima questione nella causa C-804/18, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'articolo 
1 e l'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 debbano essere interpretati nel senso che 
una norma interna di un'impresa, che vieta ai lavoratori di indossare sul luogo di lavoro qualsiasi segno 
visibile che esprima convinzioni politiche, filosofiche o religiose, costituisca, nei confronti dei lavoratori che 
seguono determinate regole di abbigliamento in ragione di precetti religiosi, una discriminazione diretta 
basata sulla religione o sulle convinzioni personali ai sensi di tale direttiva. 
44      Per rispondere a tale questione occorre ricordare che, conformemente all'articolo 1 della direttiva 
2000/78, quest'ultima mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla 
religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali, per quanto concerne 
l'occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità 
di trattamento. Ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, «per "principio della parità di 
trattamento" si intende l'assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di 
cui all'articolo 1» di quest'ultima. L'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), di detta direttiva precisa che, ai fini 
dell'applicazione dell'articolo 2, paragrafo 1, della stessa, sussiste discriminazione diretta quando, sulla 
base di uno qualsiasi dei motivi di cui all'articolo 1 della medesima direttiva, tra i quali vi è la religione o le 
convinzioni personali, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia un'altra in una situazione 
analoga. 
45      Per quanto riguarda la nozione di «religione» ai sensi dell'articolo 1 della direttiva 2000/78, la Corte 
ha già dichiarato che essa deve essere interpretata nel senso che ricomprende sia il forum internum, ossia il 
fatto di avere convinzioni religiose, sia il forum externum, ossia la manifestazione in pubblico della fede 
religiosa (sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C-157/15, EU:C:2017:203, punto 28), 
corrispondendo detta interpretazione a quella di tale medesima nozione utilizzata all'articolo 10, paragrafo 
1, della Carta (v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2020, Centraal Israëlitisch Consistorie van België 
e a., C-336/19, EU:C:2020:1031, punto 52). 
46      Il fatto di indossare segni o indumenti per manifestare la propria religione o le proprie convinzioni 
personali rientra nella «libertà di pensiero, di coscienza e di religione» tutelata dall'articolo 10 della Carta. Il 
contenuto stesso dei precetti religiosi si basa su una valutazione che non spetta alla Corte svolgere. 
47      A tale riguardo si deve aggiungere che l'articolo 1 della direttiva 2000/78 cita allo stesso titolo la 
religione e le convinzioni personali, al pari dell'articolo 19 TFUE, ai sensi del quale il legislatore dell'Unione 
può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate, tra l'altro, sulla 
«religione o le convinzioni personali», o l'articolo 21 della Carta, che, tra i diversi motivi di discriminazione 
che esso cita, prende in considerazione «la religione o le convinzioni personali». Ne consegue che, ai fini 
dell'applicazione della direttiva 2000/78, i termini «religione» e «convinzioni personali» vanno trattati 
come due facce dello stesso e unico motivo di discriminazione. Come risulta dall'articolo 21 della Carta, il 
motivo di discriminazione fondato sulla religione o sulle convinzioni personali deve essere distinto dal 
motivo attinente alle «opinioni politiche o [a] qualsiasi altra opinione» e pertanto include tanto le 
convinzioni religiose quanto le convinzioni filosofiche o spirituali. 
48      Occorre altresì aggiungere che il diritto alla libertà di coscienza e di religione sancito dall'articolo 10, 
paragrafo 1, della Carta, e che costituisce parte integrante del contesto rilevante ai fini dell'interpretazione 
della direttiva 2000/78, corrisponde al diritto garantito all'articolo 9 della CEDU e che, in forza dell'articolo 
52, paragrafo 3, della Carta, esso ha lo stesso significato e la stessa portata di quest'ultimo (sentenza del 14 
marzo 2017, G4S Secure Solutions, C-157/15, EU:C:2017:203, punto 27). Orbene, conformemente alla 
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (in prosieguo: la «Corte EDU»), il diritto alla libertà 
di pensiero, di coscienza e di religione, sancito all'articolo 9 della CEDU, «è uno dei fondamenti di una 
"società democratica" ai sensi di [tale c]onvenzione» e costituisce, «nella sua dimensione religiosa, uno 
degli elementi più vitali che contribuiscono alla formazione dell'identità dei credenti e della loro concezione 
della vita» nonché «un bene prezioso per gli atei, gli agnostici, gli scettici o gli indifferenti», contribuendo al 
«pluralismo – duramente conquistato nel corso dei secoli – consustanziale a una tale società» (Corte EDU, 
15 febbraio 2001, Dahlab c. Svizzera, CE:ECHR:2001:0215DEC004239398). 
49      Risulta peraltro dalla giurisprudenza della Corte che, riferendosi, da un lato, alla discriminazione 
«basata su» uno dei motivi di cui all'articolo 1 della direttiva 2000/78, e, dall'altro, a un trattamento meno 
favorevole «sulla base» di uno di tali motivi, e impiegando le espressioni «un'altra» e «altre persone», il 
tenore letterale e il contesto dell'articolo 2, paragrafi 1 e 2, della direttiva in parola non consentono di 
statuire che, nel caso del motivo protetto costituito dalla religione o dalle convinzioni personali, di cui al 
suddetto articolo 1, il divieto di discriminazione previsto dalla medesima direttiva sarebbe limitato alle sole 
differenze di trattamento esistenti tra persone che aderiscono a una religione o a determinate convinzioni 
personali e persone che non aderiscono a una religione o a determinate convinzioni personali. Dalla 
suddetta espressione «basata su» deriva invece che una discriminazione basata sulla religione o sulle 
convinzioni personali, ai sensi di questa stessa direttiva, può essere constatata solo qualora il trattamento 
meno favorevole o il particolare svantaggio di cui trattasi venga patito in funzione della religione o delle 
convinzioni personali (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital Kliniczny im. dra J. Babińskiego 
Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, C-16/19, EU:C:2021:64, punti 29 e 30). 
50      L'obiettivo perseguito dalla direttiva 2000/78 depone d'altronde a favore di un'interpretazione 
dell'articolo 2, paragrafi 1 e 2, della medesima nel senso che essa non limita la cerchia delle persone 
rispetto alle quali può essere effettuato un confronto per l'individuazione di una discriminazione fondata 
sulla religione o le convinzioni personali, ai sensi di detta direttiva, a quelle che non aderiscono a una data 
religione o a determinate convinzioni personali (v., in tal senso, sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital 
Kliniczny im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, C-16/19, 
EU:C:2021:64, punto 31). 
51      Infatti, come risulta dal punto 44 della presente sentenza, conformemente all'articolo 1 della direttiva 
2000/78, e come risulta sia dal titolo e dal preambolo sia dal contesto e dalla finalità della stessa, infatti, 
detta direttiva mira a stabilire un quadro generale per la lotta contro le discriminazioni fondate, 
segnatamente, sulla religione o le convinzioni personali per quanto concerne l'occupazione e le condizioni 
di lavoro, al fine di attuare, negli Stati membri, il principio della parità di trattamento, offrendo ad ogni 
persona una tutela efficace contro le discriminazioni fondate, segnatamente, sul motivo di discriminazione 
suddetto (sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital Kliniczny im dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny 
Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, C-16/19, EU:C:2021:64, paragrafo 32). 
52      Per quanto riguarda, in particolare, la questione se una norma interna di un'impresa privata che vieta 
di indossare sul posto di lavoro qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, filosofiche o religiose 
costituisca una discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, ai sensi 
dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78, la Corte ha già dichiarato che una tale norma 
non costituisce una siffatta discriminazione ove riguardi indifferentemente qualsiasi manifestazione di tali 
convinzioni e tratti in maniera identica tutti i dipendenti dell'impresa, imponendo loro, in maniera generale 
ed indiscriminata, segnatamente, una neutralità di abbigliamento che osta al fatto di indossare tali segni 
(sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C-157/15, EU:C:2017:203, paragrafi 30 e 32). Infatti, dal 
momento che ogni persona può avere una religione o convinzioni personali, una norma di tal genere, a 
condizione che sia applicata in maniera generale e indiscriminata, non istituisce una differenza di 
trattamento fondata su un criterio inscindibilmente legato alla religione o alle convinzioni personali (v., per 
analogia, per quanto concerne la discriminazione basata sull'handicap, sentenza del 26 gennaio 2021, 
Szpital Kliniczny im dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, 
C-16/19, EU:C:2021:64, paragrafo 44 e giurisprudenza citata). 
53      Tale constatazione non è rimessa in discussione, come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 54 
delle sue conclusioni, dalla considerazione che taluni lavoratori seguono determinati precetti religiosi che 
impongono un certo abbigliamento. Se è vero che l'applicazione di una norma interna come quella 
menzionata al punto 52 della presente sentenza è certamente idonea ad arrecare particolare disagio a tali 
lavoratori, detta circostanza non incide in alcun modo sulla constatazione, effettuata a tale punto, in base 
alla quale tale medesima norma, che rispecchia una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa del 
datore di lavoro, non istituisce in linea di principio una differenza di trattamento tra lavoratori basata su un 
criterio inscindibilmente legato alla religione o alle convinzioni personali, ai sensi dell'articolo 1 della 
direttiva 2000/78. 
54      Poiché dagli elementi del fascicolo di cui dispone la Corte risulta che la WABE avrebbe del pari chiesto 
e ottenuto che una lavoratrice che indossava una croce religiosa togliesse tale segno, risulta, prima facie, 
che l'applicazione nei confronti di IX della norma interna controversa nel procedimento principale sia 
avvenuta senza alcuna distinzione rispetto agli altri lavoratori della WABE, sicché non si può considerare 
che IX abbia subito una differenza di trattamento direttamente basata sulle sue convinzioni religiose, ai 
sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78. Tuttavia, spetta al giudice del rinvio 
effettuare le valutazioni di fatto necessarie e stabilire se la norma interna adottata dalla WABE sia stata 
applicata in maniera generale e indiscriminata a tutti i lavoratori di detta impresa. 
55      Alla luce di tali considerazioni, si deve rispondere alla prima questione nella causa C-804/18 
dichiarando che l'articolo 1 e l'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78 devono essere 
interpretati nel senso che una norma interna di una impresa, che vieta ai lavoratori di indossare sul luogo di 
lavoro qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, filosofiche o religiose non costituisce, nei confronti 
dei lavoratori che seguono determinate regole di abbigliamento in applicazione di precetti religiosi, una 
discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, ai sensi di detta direttiva, ove 
tale norma sia applicata in maniera generale e indiscriminata. 
 Sulla seconda questione, sub a), nella causa C-804/18 
56      Con la sua seconda questione, sub a), nella causa C-804/18, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se 
l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che una 
differenza di trattamento indirettamente basata sulla religione e/o sul sesso, derivante da una norma 
interna di un'impresa che vieta ai lavoratori di indossare sul luogo di lavoro qualsiasi segno visibile di 
convinzioni politiche, filosofiche o religiose, possa essere giustificata dalla volontà del datore di lavoro di 
perseguire una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa nei confronti dei suoi clienti o utenti, al 
fine di tener conto delle legittime aspettative di questi ultimi. 
57      Anzitutto, occorre rilevare che tale questione si basa sulla constatazione effettuata dal giudice del 
rinvio secondo cui la norma interna controversa nel procedimento principale di cui alla causa C-804/18, che 
vieta di indossare segni visibili di convinzioni politiche, filosofiche o religiose allorché i dipendenti della 
WABE sono a contatto con i genitori o i bambini, concerne, in pratica, talune religioni più di altre ed è 
destinata più alle donne che agli uomini. 
58      In via preliminare, per quanto riguarda l'esistenza di una discriminazione indiretta basata sul sesso, 
menzionata in tale questione, occorre constatare che, come rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 59 
delle sue conclusioni, tale motivo di discriminazione non rientra nell'ambito di applicazione della direttiva 
2000/78, che è l'unico atto del diritto dell'Unione preso in considerazione da detta questione. Non occorre, 
pertanto, esaminare l'esistenza di una siffatta discriminazione. 
59      Per quanto riguarda la questione della disparità di trattamento indirettamente basata sulla religione o 
sulle convinzioni personali, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78, occorre 
ricordare che una siffatta disparità sussiste quando venga dimostrato che l'obbligo apparentemente neutro 
che una norma contiene comporti, di fatto, un particolare svantaggio per le persone che aderiscono ad una 
determinata religione o ideologia (sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C-157/15, 
EU:C:2017:203, punto 34). Se è vero che spetta al giudice del rinvio verificare tale punto, si deve rilevare 
che, in base alle constatazioni di tale giudice, la norma controversa nella causa C-804/18 riguarda, dal 
punto di vista statistico, quasi esclusivamente le lavoratrici che indossano un velo a causa della loro fede 
musulmana, sicché la Corte muove dalla premessa secondo cui tale norma costituisce una disparità di 
trattamento indirettamente fondata sulla religione. 
60      Per quanto riguarda la questione se una differenza di trattamento indirettamente fondata sulla 
religione possa essere giustificata dalla volontà del datore di lavoro di perseguire una politica di neutralità 
politica, filosofica e religiosa sul luogo di lavoro, al fine di tener conto delle aspettative dei suoi clienti o 
utenti, occorre ricordare che l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78 prevede che una 
siffatta differenza di trattamento è vietata, a meno che la disposizione, il criterio o la prassi da cui essa 
deriva non siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il suo 
conseguimento siano appropriati e necessari. Pertanto, una differenza di trattamento, come quella oggetto 
della seconda questione, sub a), nella causa C-804/18, non costituisce una discriminazione indiretta, ai sensi 
dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78, qualora sia oggettivamente giustificata da un 
obiettivo legittimo e se i mezzi impiegati per il conseguimento di tale obiettivo siano appropriati e necessari 
(v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2017, Bougnaoui e ADDH, C-188/15, EU:C:2017:204, punto 33). 
61      A tal riguardo, per quanto concerne le nozioni di finalità legittima e di carattere appropriato e 
necessario dei mezzi impiegati per il suo conseguimento, occorre precisare che queste ultime devono 
essere interpretate restrittivamente (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 16 luglio 2015, CHEZ 
Razpredelenie Bulgaria, C-83/14, EU:C:2015:480, punto 112). 
62      Infatti, la direttiva 2000/78 concretizza, nel settore da essa disciplinato, il principio generale di non 
discriminazione adesso sancito all'articolo 21 della Carta (sentenza del 26 gennaio 2021, Szpital Kliniczny 
im. dra J. Babińskiego Samodzielny Publiczny Zakład Opieki Zdrowotnej w Krakowie, C-16/19, EU:C:2021:64, 
punto 33). Il considerando 4 di tale direttiva ricorda che il diritto di tutti all'uguaglianza dinanzi alla legge e 
alla protezione contro le discriminazioni costituisce un diritto universale riconosciuto da vari accordi 
internazionali, e dai considerando 11 e 12 di detta direttiva risulta che il legislatore dell'Unione ha inteso 
considerare, da un lato, che la discriminazione basata, in particolare, su religione o convinzioni personali 
può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato TFUE, segnatamente il raggiungimento di un 
elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, 
la coesione economica e sociale, la solidarietà e l'obiettivo di sviluppare l'Unione in quanto spazio di libertà, 
sicurezza e giustizia e, dall'altro, che qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su religione o 
convinzioni personali nei settori di cui alla medesima direttiva dovrebbe essere proibita in tutta l'Unione. 
63      In proposito, per quanto riguarda il requisito dell'esistenza di una finalità legittima, la volontà di un 
datore di lavoro di mostrare, nei rapporti con i clienti sia pubblici che privati, una politica di neutralità 
politica, filosofica o religiosa può essere considerata legittima. Infatti, la volontà di un datore di lavoro di 
dare ai clienti un'immagine di neutralità rientra nella libertà d'impresa, riconosciuta dall'articolo 16 della 
Carta, ed ha, in linea di principio, carattere legittimo, in particolare qualora il datore di lavoro coinvolga nel 
perseguimento di tale obiettivo soltanto i dipendenti che si suppone entrino in contatto con i clienti del 
medesimo (v., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C-157/15, EU:C:2017:203, 
punti 37 e 38). 
64      Ciò premesso, la semplice volontà di un datore di lavoro di condurre una politica di neutralità, 
sebbene costituisca, di per sé, una finalità legittima, non è di per sé sufficiente a giustificare in modo 
oggettivo una differenza di trattamento indirettamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, 
dato che il carattere oggettivo di una siffatta giustificazione può ravvisarsi solo a fronte di un'esigenza reale 
di tale datore di lavoro, che spetta a quest'ultimo dimostrare. 
65      In tali circostanze, al fine di accertare l'esistenza di una giustificazione oggettiva e, pertanto, di 
un'esigenza reale del datore di lavoro, si può, in primo luogo, tener conto, in particolare, dei diritti e delle 
legittime aspettative dei clienti o degli utenti. Ciò vale, ad esempio, per il diritto dei genitori di provvedere 
all'educazione e all'istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche 
riconosciuto all'articolo 14 della Carta e per il loro desiderio di far educare i loro figli da persone che non 
manifestino la loro religione o le loro convinzioni personali allorché sono a contatto con i bambini al fine, 
segnatamente, di «garantire lo sviluppo individuale e libero dei bambini per quanto riguarda la religione, le 
convinzioni personali e la politica», come previsto dall'istruzione di servizio adottata dalla WABE. 
66      Invece, tali situazioni devono essere distinte, tra l'altro, da un lato, dalla causa da cui ha avuto origine 
la sentenza del 14 marzo 2017, Bougnaoui e ADDH (C-188/15, EU:C:2017:204), in cui un dipendente è stato 
licenziato a seguito della denuncia di un cliente e in assenza di una norma interna dell'impresa che vietasse 
di esibire qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, filosofiche o religiose, e, dall'altro, dalla causa da 
cui ha avuto origine la sentenza del 10 luglio 2008, Feryn (C-54/07, EU:C:2008:397), che concerneva una 
discriminazione diretta basata sulla razza o sull'origine etnica asseritamente originata da richieste 
discriminatorie dei clienti. 
67      In secondo luogo, al fine di valutare la sussistenza di un'esigenza reale del datore di lavoro nel senso 
richiamato al punto 64 della presente sentenza, è particolarmente rilevante la circostanza che il datore di 
lavoro abbia fornito la prova del fatto che, in assenza di una tale politica di neutralità politica, filosofica e 
religiosa, sarebbe violata la sua libertà di impresa, riconosciuta all'articolo 16 della Carta, dal momento che, 
tenuto conto della natura delle sue attività o del contesto in cui esse si inscrivono, egli subirebbe 
conseguenze sfavorevoli. 
68      Occorre poi sottolineare che, come richiamato al punto 60 della presente sentenza, una norma 
interna come quella controversa nel procedimento principale, per sottrarsi alla qualificazione di 
discriminazione indiretta, deve altresì essere idonea ad assicurare la corretta applicazione della politica di 
neutralità perseguita dal datore di lavoro, il che presuppone che tale politica sia realmente perseguita in 
modo coerente e sistematico, e che il divieto di indossare qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, 
filosofiche e religiose, che tale norma comporta, si limiti allo stretto necessario (v., in tal senso, sentenza 
del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C-157/15, EU:C:2017:203, punti 40 e 42). 
69      Quest'ultimo requisito presuppone in particolare di verificare che, trattandosi di una limitazione alla 
libertà di pensiero, di coscienza e di religione, garantita all'articolo 10, paragrafo 1, della Carta, come quella 
che comporta il divieto fatto a un lavoratore di conformarsi sul suo luogo di lavoro a un obbligo che gli 
impone di indossare un segno visibile delle sue convinzioni religiose, una tale limitazione risulti 
strettamente necessaria alla luce delle conseguenze sfavorevoli che il datore di lavoro intende evitare 
mediante un tale divieto. 
70      Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve rispondere alla seconda questione, sub a), nella causa 
C-804/18 dichiarando che l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78 deve essere 
interpretato nel senso che una differenza di trattamento indirettamente fondata sulla religione o le 
convinzioni personali, derivante da una norma interna di una impresa che vieta ai lavoratori di indossare sul 
luogo di lavoro qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, filosofiche o religione, può essere giustificata 
dalla volontà del datore di lavoro di perseguire una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa nei 
confronti dei clienti o degli utenti, a condizione che, in primo luogo, tale politica risponda ad un'esigenza 
reale di detto datore di lavoro, circostanza che spetta a quest'ultimo dimostrare prendendo in 
considerazione segnatamente le aspettative legittime di detti clienti o utenti nonché le conseguenze 
sfavorevoli che egli subirebbe in assenza di una tale politica, tenuto conto della natura delle sue attività o 
del contesto in cui queste ultime si iscrivono; in secondo luogo, che detta differenza di trattamento sia 
idonea ad assicurare la corretta applicazione di tale politica di neutralità, il che presuppone che tale politica 
sia perseguita in modo coerente e sistematico e, in terzo luogo, che detto divieto si limiti allo stretto 
necessario tenuto conto della portata e della gravità effettive delle conseguenze sfavorevoli che il datore di 
lavoro intende evitare mediante un divieto siffatto. 
 Sulla prima questione nella causa C-341/19 
71      Con la sua prima questione nella causa C-341/19, il giudice del rinvio in tale causa chiede, in sostanza, 
se l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che 
una discriminazione indiretta basata sulla religione o sulle convinzioni personali, che deriva da una norma 
interna di un'impresa che vieta, sul luogo di lavoro, di indossare segni visibili di convinzioni politiche, 
filosofiche o religiose allo scopo di assicurare una politica di neutralità all'interno di tale impresa, possa 
essere giustificata solo se tale divieto riguardi qualsiasi forma visibile di espressione delle convinzioni 
politiche, filosofiche o religiose o se sia sufficiente che tale divieto sia limitato ai segni vistosi di grandi 
dimensioni ove sia attuato in modo coerente e sistematico. 
72      A tal riguardo, occorre rilevare anzitutto che, sebbene tale questione si basi sulla premessa 
dell'esistenza di una discriminazione indiretta, resta il fatto che, come segnatamente fatto valere dalla 
Commissione europea nelle sue osservazioni presentate nell'ambito della causa C-341/19, una norma 
interna di un'impresa che, come quella controversa in tale causa, vieta soltanto di indossare segni vistosi di 
grandi dimensioni è tale da pregiudicare più gravemente le persone che aderiscono a correnti religiose, 
filosofiche e non confessionali che prevedono che sia indossato un indumento o un segno di grandi 
dimensioni, come un copricapo. 
73      Orbene, come richiamato al punto 52 della presente sentenza, una disparità di trattamento derivante 
da una disposizione o da una prassi basata su un criterio inscindibilmente legato al motivo protetto, nel 
caso di specie la religione o le convinzioni personali, deve essere considerata come direttamente basata su 
tale motivo. Pertanto, nelle ipotesi in cui il criterio dell'uso di segni vistosi di grandi dimensioni di 
convinzioni politiche, filosofiche o religiose sia inscindibilmente legato a una o più religioni o convinzioni 
personali determinate, il divieto imposto da un datore di lavoro ai suoi lavoratori di indossare detti segni in 
base a un criterio di tal genere avrà come conseguenza che taluni lavoratori saranno trattati in modo meno 
favorevole rispetto ad altri in base alla loro religione o alle loro convinzioni personali e che una 
discriminazione diretta, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78, potrà, quindi, 
essere rilevata. 
74      Nell'ipotesi in cui una tale discriminazione diretta non dovesse tuttavia essere accertata, è importante 
ricordare che, conformemente all'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), di detta direttiva, una differenza di 
trattamento come quella presa in considerazione dal giudice del rinvio costituirebbe, qualora fosse 
dimostrato che comportasse, di fatto, un particolare svantaggio per le persone che aderiscono a una 
religione o a convinzioni personali determinate, una discriminazione indiretta ai sensi dell'articolo 2, 
paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva, come già menzionato al punto 60 della presente sentenza, a meno 
che essa non sia oggettivamente giustificata da una finalità legittima e a condizione che i mezzi per 
perseguire tale finalità siano appropriati e necessari. 
75      A tal riguardo, occorre rilevare che dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che la misura in 
esame ha lo scopo di prevenire conflitti sociali all'interno dell'impresa, in particolare tenuto conto 
dell'esistenza di tensioni verificatesi in passato riconducibili a convinzioni politiche, filosofiche o religiose. 
76      Come è già rilevato al punto 63 della presente sentenza, una politica di neutralità può costituire una 
finalità legittima ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78. Al fine di 
determinare se tale politica sia idonea a giustificare in maniera oggettiva una differenza di trattamento 
indirettamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, occorre verificare, come risulta dal 
punto 64 della presente sentenza, se essa soddisfi un'esigenza reale dell'impresa. In proposito si deve 
rilevare che tanto la prevenzione dei conflitti sociali quanto la presentazione del datore di lavoro in modo 
neutrale nei confronti dei clienti possono configurare un'esigenza reale del datore di lavoro, circostanza che 
incombe a quest'ultimo dimostrare. Occorre tuttavia ancora verificare, conformemente a quanto esposto ai 
punti 68 e 69 della presente sentenza, se la norma interna che consiste nel vietare di indossare qualsiasi 
segno vistoso di grandi dimensioni di convinzioni politiche, filosofiche e religiose sia idonea ad assicurare la 
finalità perseguita e se tale divieto si limiti allo stretto necessario. 
77      A tal riguardo, occorre precisare che una politica di neutralità in seno all'impresa, come quella 
oggetto della prima questione nella causa C-341/19, può essere perseguita in modo efficace soltanto se 
non è ammessa alcuna manifestazione visibile di convinzioni politiche, filosofiche o religiose quando i 
lavoratori sono a contatto con i clienti o tra di loro, poiché il fatto di indossare qualsiasi segno, anche se di 
piccole dimensioni, compromette l'idoneità della misura a raggiungere l'obiettivo asseritamente perseguito 
e rimette così in discussione la coerenza stessa di detta politica di neutralità. 
78      Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione sottoposta nella 
causa C-341/19 dichiarando che l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78 deve essere 
interpretato nel senso che una discriminazione indiretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali 
derivante da una norma interna di un'impresa che vieta, sul luogo di lavoro, di indossare segni visibili di 
convinzioni politiche, filosofiche o religiose allo scopo di assicurare una politica di neutralità all'interno di 
tale impresa può essere giustificata solo se detto divieto riguardi qualsiasi forma visibile di espressione 
delle convinzioni politiche, filosofiche o religiose. Un divieto che si limiti all'uso di segni di convinzioni 
politiche, filosofiche o religiose vistosi e di grandi dimensioni è tale da costituire una discriminazione diretta 
fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, che non può in ogni caso essere giustificata sulla base 
di tale medesima disposizione. 
 Sulla seconda questione, sub b), nella causa C-804/18 e sulla seconda questione, sub b), nella causa 
C-341/19 
79      Con la seconda questione, sub b), nella causa C-804/18, che è analoga alla seconda questione, sub b), 
nella causa C-341/19, l'Arbeitsgericht Hamburg (Tribunale del lavoro di Amburgo) chiede, in sostanza, se 
l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2000/78 debba essere interpretato nel senso che le 
disposizioni costituzionali nazionali che tutelano la libertà di religione possano essere prese in 
considerazione in quanto disposizioni più favorevoli ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, di tale direttiva, 
nell'ambito dell'esame del carattere appropriato di una differenza di trattamento indirettamente fondata 
sulla religione o sulle convinzioni personali. 
80      Tale questione è scaturita da quella, del pari sollevata dal Bundesarbeitsgericht (Corte federale del 
lavoro) nella causa C-341/19, relativa alla domanda se, nell'ambito dell'esame del carattere appropriato di 
una norma interna di un'impresa, come quella controversa nei procedimenti principali, occorra ponderare i 
diritti e le libertà contrastanti, più in particolare gli articoli 14 e 16 della Carta, da un lato, e l'articolo 10 
della Carta, dall'altro, o se tale bilanciamento debba essere effettuato solo al momento dell'applicazione di 
detta norma interna a un caso specifico, ad esempio quando un'istruzione è rivolta a un lavoratore o in 
occasione del suo licenziamento. Nell'ipotesi in cui si dovesse affermare che i diritti contrastanti derivanti 
dalla Carta non possono essere presi in considerazione nell'ambito di detto esame, si porrebbe allora la 
questione se una disposizione nazionale di rango costituzionale, come l'articolo 4, paragrafi 1 e 2, del GG, 
che tutela la libertà di religione e di fede, possa essere considerata come una disposizione più favorevole ai 
sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/78. 
81      Per quanto riguarda, in primo luogo, la questione se, nell'ambito dell'esame del carattere 
appropriato, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78, della restrizione 
derivante dalla misura introdotta per garantire l'applicazione di una politica di neutralità politica, filosofica 
e religiosa, si debba tener conto dei diversi diritti e libertà in esame, si deve ricordare, anzitutto, come 
constatato dalla Corte nell'interpretare la nozione di «religione» ai sensi dell'articolo 1 della direttiva 
2000/78, che il legislatore dell'Unione ha fatto riferimento, al considerando 1 di tale direttiva, ai diritti 
fondamentali quali garantiti dalla CEDU, la quale prevede, al suo articolo 9, che ogni persona ha diritto alla 
libertà di pensiero, di coscienza e di religione, diritto questo che implica, tra l'altro, la libertà di manifestare 
la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante 
il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti. Inoltre, al medesimo considerando il legislatore 
dell'Unione ha fatto riferimento anche alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto 
principi generali del diritto dell'Unione. Orbene, tra i diritti che risultano da tali tradizioni comuni e che 
sono stati ribaditi nella Carta figura il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione sancito 
all'articolo 10, paragrafo 1, della Carta. Conformemente a tale disposizione, detto diritto include la libertà 
di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria 
convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, 
le pratiche e l'osservanza dei riti. Come risulta dalle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali 
(GU 2007, C 303, pag. 17), il diritto garantito all'articolo 10, paragrafo 1, di quest'ultima corrisponde al 
diritto garantito all'articolo 9 della CEDU e, conformemente all'articolo 52, paragrafo 3, della Carta, ha lo 
stesso significato e la stessa portata di quest'ultimo (sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, 
C-157/15, EU:C:2017:203, punti 26 e 27). 
82      Pertanto, nell'ambito dell'esame del carattere appropriato, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera 
b), i), della direttiva 2000/78, della restrizione derivante da una misura destinata ad assicurare 
l'applicazione di una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa, si deve tener conto dei diversi diritti 
e libertà in esame. 
83      La Corte ha poi già dichiarato che, nell'esaminare il carattere necessario di un divieto analogo a quello 
controverso nei procedimenti principali, spetta ai giudici nazionali, alla luce di tutti gli elementi del fascicolo 
di cui trattasi, tenere conto degli interessi in gioco e limitare «allo stretto necessario» le restrizioni «alle 
libertà in questione» (sentenza del 14 marzo 2017, G4S Secure Solutions, C-157/15, EU:C:2017:203, punto 
43). Orbene, poiché nel procedimento da cui ha avuto origine tale sentenza era in discussione soltanto la 
libertà d'impresa, sancita all'articolo 16 della Carta, si deve dichiarare che l'altra libertà alla quale la Corte 
faceva riferimento nella medesima sentenza era la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, di cui al 
punto 39 della medesima sentenza. 
84      Infine, è giocoforza rilevare che l'interpretazione della direttiva 2000/78 in tal modo accolta è 
conforme alla giurisprudenza della Corte in quanto consente di assicurare che, qualora siano in discussione 
più diritti fondamentali e principi sanciti dai Trattati, come, nel caso di specie, il principio di non 
discriminazione sancito all'articolo 21 della Carta e il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di 
religione garantito all'articolo 10 della Carta, da un lato, nonché il diritto dei genitori di provvedere 
all'educazione e all'istruzione dei loro figli secondo le loro convinzioni religiose, filosofiche e pedagogiche 
riconosciuto all'articolo 14, paragrafo 3, della Carta e la libertà di impresa sancita all'articolo 16 della Carta, 
dall'altro lato, la valutazione del rispetto del principio di proporzionalità deve essere effettuata nel rispetto 
della necessaria conciliazione tra i requisiti connessi alla tutela dei diversi diritti e principi in discussione e di 
un giusto equilibrio tra di essi (v., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2020, Centraal Israëlitisch 
Consistorie van België e a., C-336/19, EU:C:2020:1031, punto 65 e giurisprudenza citata). 
85      Per quanto riguarda le disposizioni di diritto nazionale controverse nei procedimenti principali, in 
particolare l'articolo 4, paragrafo 1, del GG, e il requisito che esse comportano, in base al quale, in una 
situazione come quella oggetto di tali procedimenti, incombe al datore di lavoro non solo dimostrare di 
perseguire una finalità legittima idonea a giustificare una disparità di trattamento indiretta fondata sulla 
religione o sulle convinzioni personali, ma anche dimostrare che al momento dell'introduzione della norma 
interna controversa esisteva, o che esiste, attualmente, un rischio sufficientemente concreto che tale 
obiettivo sia compromesso, come il rischio di effettivi problemi all'interno dell'impresa o il rischio reale di 
perdita di reddito, si deve ritenere che un tale requisito rientri nell'ambito previsto dall'articolo 2, 
paragrafo 2, lettera b), i), della direttiva 2000/78 per quanto riguarda la giustificazione di una disparità di 
trattamento indirettamente fondata sulla religione o sulle convinzioni personali. 
86      Per quanto riguarda, in secondo luogo, la questione se una disposizione nazionale relativa alla libertà 
di religione e di coscienza possa essere considerata come una disposizione nazionale più favorevole alla 
tutela del principio della parità di trattamento, ai sensi dell'articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2000/78, 
occorre ricordare, come risulta dal titolo di tale direttiva, che quest'ultima stabilisce un quadro generale 
per tale parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, che lascia un margine di 
discrezionalità agli Stati membri, tenuto conto della diversità dei loro approcci quanto al ruolo che essi 
attribuiscono, al loro interno, alla religione o alle convinzioni personali. Il margine di discrezionalità così 
riconosciuto agli Stati membri in mancanza di consenso a livello dell'Unione deve tuttavia andare di pari 
passo con un controllo, che spetta al giudice dell'Unione, consistente, in particolare, nel verificare se le 
misure adottate a livello nazionale siano giustificate in linea di principio e se siano proporzionate (v., in tal 
senso, sentenza del 17 dicembre 2020, Centraal Israëlitisch Consistorie van België e a., C-336/19, 
EU:C:2020:1031, punto 67). 
87      Peraltro, dal quadro così introdotto emerge che, nella direttiva 2000/78, il legislatore dell'Unione non 
ha effettuato esso stesso la necessaria conciliazione tra la libertà di pensiero, di convinzione e di religione, 
da un lato, e gli obiettivi legittimi che possono essere invocati a giustificazione di una disparità di 
trattamento, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b), i), di tale direttiva, dall'altro, ma ha lasciato il 
compito di procedere a tale conciliazione agli Stati membri e ai loro giudici (v., per analogia, sentenza del 17 
dicembre 2020, Centraal Israëlitisch Consistorie van België e a., C-336/19, EU:C:2020:1031, punto 47). 
88      Di conseguenza, la direttiva 2000/78 consente di tener conto del contesto specifico di ciascuno Stato 
membro e di riconoscere a ciascuno di essi un margine di discrezionalità nell'ambito della necessaria 
conciliazione dei diversi diritti e interessi in gioco, al fine di assicurare un giusto equilibrio tra questi ultimi. 
89      Ne consegue che le disposizioni nazionali che tutelano la libertà di pensiero, di convinzione e di 
religione, in quanto valore al quale le società democratiche contemporanee attribuiscono un'importanza
Avv. Antonino Sugamele

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